Volponi critico d’arte

Degli autori che stimiamo vogliamo giustamente sapere tutto e nessun documento di qualsiasi tipo è sprecato per illuminarli da ogni lato, sia pur secondario. Anzi, più le attività si allontanano dal centro verso interessi marginali e più la personalità se ne avvantaggia con l’apparire poliedrica.
Nel caso di Paolo Volponi, in realtà, l’esistenza di scritti dedicati all’arte (ora disponibili nel volume di Electa, Scritti critici 1956-1994) non dovrebbe stupire: basta infatti guardare tra le righe sia dei romanzi (che so, l’inventario di Trasmanati in Corporale) che delle poesie (il Presidente raffigurato come l’infante auratico delle pale d’altare) per rendersi conto di quanta competenza ci sia nell’ambito dell’arte figurativa. Ora, la figlia Caterina, nella nota all’inizio del volume (Paolo Volponi collezionista: qualche ricordo famigliare), ci fa capire come questo interesse – neanche tanto economico, ma una vera incoercibile passione – fosse profondo e vissuto, a corroborare la spinta culturale complessiva.
E dunque questo volume che comprende presentazioni di mostre, cataloghi, articoli su “Alfabeta”, interviste e molto altro, lungo un arco che copre tutta la vita dell’autore, è possibile leggerlo come un ulteriore capitolo della scrittura volponiana.

Un libro,  per altro riccamente accompagnato da riproduzioni a colori, che dunque si può leggere in vari modi. Il primo è, come accennavo, al fine di completare le sfaccettature della personalità, quindi nel segno della ricostruzione biografica. Un altro modo può consistere nel trovare paralleli con l’opera in versi e in prosa: ad esempio, in molti artisti trattati da Volponi è di scena il paesaggio, in modi però non proprio tradizionali, ed ecco allora che si può vedere come l’autore per suo conto si comporti nei confronti di simili visuali, così nei paesaggi marchigiani de La macchina mondiale o di Corporale che sono anch’essi tutt’altro che idillici, sono piuttosto tormentati, come in talune acqueforti.
Un altro modo è vedere che tipo di critico d’arte sia Volponi. Metodo e estetica? In realtà non c’è da aspettarsi un metodo e un’estetica a priori, c’è piuttosto un approccio propenso alla condivisione, ad entrare dentro l’operazione dell’artista, che spesso è anche una conoscenza, un amico. Però attenzione va fatta, perché l’autore stesso sa bene che quando uno scrittore o un poeta si mettono a commentare l’arte c’è il rischio che partano per la tangente e che finiscano per ignorare il loro oggetto o comunque per farsene la base per slanci lirici autonomi, che qui ironicamente sono detti il “povetico”. Ma allora, come reagire o come descrivere? In altre parole, quale ecfrasi? Ovviamente la questione è risolta dal nostro ogni volta diversamente, ma vediamo questo esempio, relativo all’opera di Pietro Bestetti:

Bestetti insegue o tronca linee vere come una lingua: ne blocca o ne distende il suono mentre intorno sopra e sotto accumula o taglia gli spazi di tante altre vicende. I suoi territori, i suoi cumuli sono di una sabbia filtrata da infinite correnti e depositata nel tempo continuo di una speranza mai smessa, tanto che le numerose linee possono sembrare quelle di un deserto, come le geometrie di certe costruzioni ricordano piramidi e altre costruzioni del passato… o ancora da incontrare. Tutto è mosso dall’incrociarsi dei segnali e reso ancora più vivo e contagioso dal movimento infinitesimale e continuo del depositarsi delle sabbie cromatiche. 

Per quanto riguarda l’estetica, certo ci sono tracce di quella classica e per i grandi autori non manca l’ammirazione dei superlativi, vedi per Masaccio e per Piero (la sua «metafisica perfezione» ). Ma in generale Volponi vede l’arte come un “lavoro” – e non a caso predilige l’incisione, dove si tratta di “scavare” il disegno. Ecco allora che le notazioni non sono mai inventate con afflato lirico, ma prendono spunto dalla tecnica:

Ne risultano grandi segni continui che vanno dall’alto in basso, giungono in primo piano e sfuggono verso i lati, vanno anche a continuare dietro e spesso anche sopra i limiti della scena. Questo modo di costruire gli è utile anche per far calare, sorgere e diffondere le sue vaste correnti all’acquarello o per ricondurre sempre in libertà la sua incisione dentro le grandi forme profilate; quasi sempre in contraddizione tra loro, da muovere il foglio, dal farlo vibrare inquieto, tanto da svuotarlo in alcuni punti (chiari e sottili fino a dissolversi) o da riempirlo di contrasti in altri che non si aggrovigliano ma si distinguono nel respingersi e con una precipitazione così concitata da scoccare oltre, trafiggendo precisi ordini anche oltre il margine. Ne risultano spazi dilaniati fino alla dispersione, talvolta con uno strazio tanto franto e tagliente da essere imprendibile e da far credere perfino all’astrazione.

(Qui a proposito di Arnaldo Battistoni). E soprattutto sono le materie a calamitare l’attenzione dello scrittore in veste di critico. Del resto, la passione del collezionista Volponi non è tanto legata al possesso e alla capitalizzazione ma, prima di tutto, a una sorta di disponibilità tattile dell’oggetto artistico. Riportando un’opinione di Luigi Bartolini, egli ci dice che «l’amatore di stampe ha perfino un tatto particolare: i polpastrelli più sensibili per carezzare l’inchiostro raggrumato nel segno, sentire lo spessore della carta di stracci o il sottilissimo fiato della carta di Cina»; e aggiunge: «si ritrovano appunto, con i loro spessori carnali, con i loro grumi mai casuali, macchiati, ma tutti tirati con il segno».
Una concezione palpabile dell’arte, che arriva fino a sostenere che il vero contenuto sono le forme, i colori, gli impasti e quant’altro. Fino a dichiarare (a proposito di Luigi Stradella) che «Il significato di questa pittura coincide quindi con il significante: colore, rapporti tra i colori; rapporti tra materia densa e materia piatta; sfilacciamenti o addensamenti formali; assorbimento o riflesso della luce» . E qui c’è un punto, fermiamoci: perché è vero che circola qua e là un pregiudizio sull’astrattismo e sull’avanguardia, e tuttavia Volponi apprezza il superamento della piatta rappresentazione, secondo quella piega della “deformazione” che è caratteristica anche di tutta la sua opera in versi o in prosa. E si trova evocata, infatti, la formula dello “sperimentalismo”.
Un’attività, insomma, quella in veste  di critico, nient’affatto episodica e svolta con competenze raffinate. È vero che gli artisti trattati sono prevalentemente marchigiani e gravitano attorno a Urbino, e però l’approccio non può dirsi “locale”: Urbino stessa non è soltanto il luogo d’origine; Urbino è per Volponi lo spazio dell’utopia, la “città ideale”, la “città della cultura”, che rappresenta il giusto equilibrio tra cultura e politica e rappresenta il “piano” razionale, secondo Volponi indispensabile ad una politica sociale a misura d’uomo. Non per nulla, tra i molteplici contributi sui singoli artisti non mancano interventi “di opposizione” sui guasti delle amministrazioni, i “predatori dell’arte”; scelgo, tra tutti, di citare questo brano davvero acceso che sfrutta da par suo la metafora dello “stivale” Italia, con toni che s’apparentano alle migliori pagine delle Mosche del capitale:

L’Europa è lì che pensa se la cancrena di questa sua gamba stivalata è arrivata al punto da richiedere l’amputazione. Intanto la cancrena continua a gonfiarsi, non certo solo per il peso del costo del lavoro, ma certo di più perché la nostra industria non ha saputo investire i ricavi del “miracolo economico”; non ha studiato per migliorare tecnologia ed organizzazione: la sua forza competitiva; non ha cercato nuovi prodotti; non si è aperta al confronto e alla sperimentazione culturale; ha contrastato la programmazione della metà degli anni sessanta; ha piegato il potere politico e financo i piani regolatori comunali al suo arbitrio; è stata sempre alleata della speculazione edilizia (negazione delle premesse stesse di una società industriale) ed è sempre stata essa medesima appesantita dai sughi della rendita.

Fedele alla funzione “democratica dell’arte”, non è un caso che Volponi privilegi gli autori di litografie e acqueforti, perché l’arte riproducibile ha maggiore accessibilità e non si chiude nell’unica dimora del collezionista facoltoso.
Qua e là nel libro, il tema-arte porta a inserire anche testi in versi: ce n’è uno dedicato a Baj (del 1982, in clima Con testo a fronte e infatti ha buone rime reiterate); e ce n’è un altro, La lunga spoliazione, che racconta proprio l’inizio della raccolta personale di oggetti artistici che coincide – quasi compensazione della utopia fallita – con l’abbandono dell’industria. Scrive di sé Volponi, In terza persona:

Egli con la liquidazione comperò quadri:
più antichi che moderni: del seicento
emiliano e caravaggesco, non da piccoli ladri
né da grandi antiquari, attento
sopra tutto alla qualità: luce, riquadri
di colore, materia, dramma, incantamento
immediato dei precordi: figlie, vecchi, madri,
mitologici o del primo e secondo testamento.
Continuò a comperare anche senza denari.

Ma non posso trascurare un fenomeno, segnalato anche dal curatore del libro, Luca Cesari, in sede di introduzione: la presenza in molti punti del termine “indulgenza”. È un termine che a me sembra molto importante e l’avevo sottolineato in un convegno volponiano dell’anno passato. Ed è significativo che pure in questi scritti sull’arte l’indulgenza si affacci di frequente: ne ho contate, tra sostantivo e aggettivo, ben 25 occorrenze. Che cos’è l’indulgenza per Volponi? Non il perdono dei peccati e la loro paternalistica remissione, ma più in generale (e in ambito letterario) qualsiasi cedimento o concessione a forme consolatorie o edulcoranti. Soprattutto ad atmosfere suggestive, “poetiche” nel senso retorico deteriore. In altre parole – ma è discorso che non posso approfondire qui – l’opera di Volponi è attraversata, di qualunque mezzo si serva, da un problema-poesia. Anche qui lo scrive: perché, se da un lato risente dell’incantesimo (estetico), dall’altro interviene l’imperativo (politico) «di andare al di là della contemplazione narcisistica, di sollevarsi dal decubito lirico».

20/02/2025

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