I seminari della LUNA: “Abel” di Alessandro Baricco

Il ciclo di seminari di “critica della narrativa” è giunto al suo termine (o al giro di boa, dipende da cosa si deciderà di fare in autunno) occupandosi di un romanzo recentissimo: all’uopo è stato scelto Abel, il “western metafisico” di Alessandro Baricco, con l’intenzione di capire, mediante l’analisi, le funzioni e l’ideologia di un testo che è stato definito fin troppo trionfalmente “un capolavoro”.
Intanto, dà molto da pensare la ripresa del western: un omaggio al cinema in cui il genere è molto più frequentato che non in letteratura? una sudditanza nei confronti della popolarità del tipo sceneggiatura anticipata? Un gioco postmoderno sul recupero del trash? Un nostalgico ritorno ai miti della giovinezza? Indubbiamente il western si presta all’epica dell’eroe solitario e quindi a una narrazione per così dire sovraesposta.
Chi volesse verificare lo svolgimento del seminario lo trova a questo link:

La cosa più interessante che è stata rilevata nel corso del seminario è la temporalità “fluttuante” del racconto che non segue la linearità e la cui voce narrante continua addirittura a parlare dopo la morte. Mentre i dialoghi hanno una certa banalità e stringatezza, voluta probabilmente per corrispondere a personaggi che sono “di poche parole”, al contrario lo stile dell’io narrante è notevolmente arricchito, rispetto a quello che ci aspetteremmo da un cow boy: similitudini anche prolungate, iperboli (soprattutto in corrispondenza dei disagi atmosferici), citazioni filosofiche in abbondanza e soprattutto una costante atmosfera “poetica”.
Il seminario ha potuto facilmente rilevare la presenza di un sottotesto religioso: i nomi biblici dei personaggi (a partire proprio dall’eponimo Abel); tutta una serie di vocaboli “pesanti”, da mistero a epifania, vangelo, sacro, preghiera, pellegrinaggio, altare, anima, ecc.; l’intuizionismo dello stesso pistolero che non segue una tecnica, bensì l’ispirazione (una “vibrazione”, come egli dice), tanto che impara a sparare ad occhi chiusi da un maestro cieco; la conversione alla non-violenza che fa da spartiacque alla vicenda del protagonista. La stessa discontinuità narrativa non è affatto sperimentale, ma viene ideologizzata al servizio della negazione del tempo, in favore dell’istante estatico, del momento rivelatore, della pienezza eterna dell’essere. Insomma, questo è un western “buonista”, come dimostra il nome dell’eroe (Abele, la prima vittima), un pistolero che fa, vedi un po’, il ruolo di sceriffo. E’ nella natura del western del reto la netta distinzione  tra buoni e cattivi (un “ideologema”, come ha precisato Jameson).
Se Baricco è da ringraziare per aver evitato il solito memoir più o meno travestito, il seminario ha tuttavia indicato il suo limite nel voler essere popolare e insieme raffinato. Sparare contemporaneamente a due bersagli, come in quel colpo straordinario che nel romanzo, non a caso, viene denominato il “Mistico”. Ma qui si azzecca forse il primo: sicuramente non il secondo.

26/06/2024

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