La poesia sonora si può definire in generale come l’uso dei significanti avulso dai significati. Storicamente essa ha prodotto le sue provocazioni utilizzando “tratti soprasegmentali”, fonemi liberi o, in parole povere, “puri suoni”, con un esito certamente “antilogocentrico”, tuttavia recepibile sostanzialmente in ambito percettivo, cioè in chiave solamente estetica. Ma cosa succede se la poesia sonora punta al ri-contatto con i significati, ovverosia “riprende la parola” senza però perdere l’emergenza primaria della voce?
Risponde a questo interrogativo l’opera di Giovanni Fontana che della poesia sonora è un vessillifero riconosciuto e ne è anche stato l’illustratore (vedi La voce in movimento). E soprattutto fa testo (in tutti i sensi dell’espressione) la recente pubblicazione de La discarica fluente per opera delle edizioni [dia•foria. Perché qui la scommessa si fa più alta, in quanto non si tratta soltanto di reintegrare la parola nella sua interezza, ma addirittura di riavvolgerla nel contesto di un tema. Un tema di tutto riguardo, per giunta, che è precisamente, come si deduce già dal titolo, quello dei rifiuti e del loro smaltimento, quindi un tema da impegno civile, che sottintende un compito (l’ingaggio dell’engagement), che tuttavia viene assolto in modo tutto particolare e alieno da qualsiasi perorazione o lamentanza.
Basta affacciarsi alla finestra per rendersi conto di come la raccolta dei rifiuti sia in uno stato catastrofico. Non da oggi, se già Calvino inseriva nelle sue Città invisibili il panorama di Leonia circondata da «crateri di spazzatura». Talmente incancrenita è la questione da non avere bisogno ormai di avvertimenti, bensì di aperta e drastica polemica. Ma c’è modo e modo; e quindi: come polemizza Fontana? E ancora: come entra la forza della voce nell’ambito per certi versi obbligato di una situazione reale? Nella prima parte del libro intitolata Pronuncia degli scarti e altre resistenze (già uscita con altro titolo nel 2012 in un’edizione ormai irrintracciabile), l’autore procede per brani brevi attribuiti a due diverse voci, che si caratterizzano per il modo di iniziare il loro intervento, una sorta di anafora strutturale: la prima dice «Non a caso», la seconda rincalza con «Direi»; successivamente, la prima apre con «Si tratta», la seconda con «Del resto». Attenzione, però, perché questa “bivocità” non è dialettica e neanche tanto dialogica; voglio dire che le voci non discutono l’una contro l’altra, non si smentiscono in reciproca, ma la loro direzione è la stessa. Piuttosto dalla loro divisione, per così dire, amebea si ricava un susseguirsi di posizione-rincalzo che garantisce le spirali evolutive del testo, la sua fluenza, appunto.
Proprio la concatenazione è la modalità con cui l’istanza sonora modella il testo. Non solo gli interventi delle voci sono per solito abbastanza contenuti, ma anche al loro interno predomina la brevità (frammentarietà) delle frasi, spesso costellate dalla punteggiatura fino a ridursi ad un’unica parola. A collegare i lacerti interviene la rima (o qui forse si dovrebbe dire l’omoteleuto); ma, si badi, non una rima tradizionale con vocazione ordinatrice, bensì una eco sempre pronta a ricambiarsi in altra eco. Di questo sistema occorre, per chiarezza espositiva, dare subito un esempio, e far l’analisi d’un breve campione, che si potrebbe prelevare da qualsiasi punto. Vediamo questo passo, tratto dalle pagine iniziali:
Scarsa è la coscienza. Ampia l’attraenza varata con sapienza a tavolino. E c’è tanta innocenza nelle strade. Molto bastarde escandescenze dei padroni. Gnomi stirati. Capelli trapiantati uno per uno per dare sostegno al segno. Segno al sostegno. Un orpello per disegnare un modello. Esorcizzare il bordello globale.
Come si vede non c’è premeditazione, piuttosto è un richiamo che si prolunga al buon bisogno: prima tre volte in -enza, si converte poi in -enze, mentre intanto ‘strade’ fa assonanza con ‘bastarde’, ‘stirati’ si riproduce in ‘trapiantati’, segue il bel chiasma sostegno/segno/segno/sostegno, entra infine la rima in -ello, intercalata da quella in -are. Il testo è tutto così. A riprova peschiamo questa volta dalla fine:
Gli sguardi avvitavano nei fanghi. Dissipazione sciatta. Putrefatta. Da quel che si sapeva. Era un deserto d’ossa. Una grande fossa al centro. E dentro un canale di scolo. Il dolo? Coaguli di anime in balia dei mediatori. Frali. E della maraviglia. Che attanaglia. E spariglia. Nella speranza. Quando è resa tersa. Persa nelle divagazioni. O nelle titubanze.
Si può anche dire che qui la pulsione sonora trascina il materiale verbale. O, forse meglio, che il testo tende al suo tema, però vuole arrivarci mediante la somiglianza sonora. E il suono acchiappa non proprio la prima parola che gli capita, ma quella che più gli si confà entro un certo repertorio di consonanze. E da qui deriva che i registri possano essere anche assai diversi: nel magma finiscono termini tecnici come linguaggio burocratico, parole arcaiche come dialettali, giochi di parole come citazioni letterarie. Del resto, il tema della discarica è appropriato alle inusitate mescolanze.
E la concatenazione è altresì la molla della evoluzione tematica del palleggio verbale. Infatti la problematica dei rifiuti è tale da innescare tutta una serie di problemi collaterali e collusi. «Ogni problema conduce ad altro», è il testo stesso che lo dichiara. Connessioni inevitabili: il gigantismo dei rifiuti è l’effetto degli eccessi del consumismo; comporta l’identificazione sempre più complicata dei luoghi di smaltimento e le contestazioni degli ivi residenti, nonché la difficile ricerca di tecnologie non nocive; richiede l’aggiornamento delle normative e il controllo dell’illegalità che spesso s’appropria della gestione; concerne la necessità del riciclo; rimanda al problema dell’inquinamento e quindi all’ecologia; inoltre chiama in ballo la politica e la sua propria corruzione (non a caso, quest’ultima, suggerisce una serie di rime in -azzo: «Del resto la follia sembra implodere nel teatro della politica da intrallazzo e schiamazzo. Da sollazzo e rimpiazzo. In palazzo e codazzo. Con stramazzo e rubamazzo»). Non solo, ma altrettanto obbligato è il rinvio ai “rifiuti umani”, soprattutto gli immigrati e i profughi. E infine al corpo stesso, con le sue emissioni e scarti, tema sensibile per un performer come Giovanni Fontana, che tende a fare significante dell’intera corporeità. Qui tratta della “precarietà del corpo”:
Precarietà del corpo. Quali vie d’uscita? Quali identità? Quali programmi? Il corpo è l’elemento di consumo. Il più consumato nella società. Della società. La ridda dei consumi. Ed è sul corpo che si deve rifondare la propria identità. (…) Il corpo e la sua morte restano grandi pensatori. Se il presupposto necessario del consumismo è che si consumi infinitamente. Che qualcosa sia infinitamente consumato. Bisogna allora insistere. Su quali verità?
Il testo di Fontana come si è visto, a metà strada com’è tra prosa e verso, deve essere valutato come scrittura. Tuttavia la parola “poesia” vi circola e compare ogni tanto l’equazione con la discarica. Ma, ecco: come sarebbe la poesia come discarica? La poesia come smaltimento letterario? Indubbiamente, la fluenza del testo, la sua essenza magmatica potrebbe far pensare a un contenitore dove vadano a dislocarsi gli scarti culturali, una sorta di mimesi verbale del trattamento dei rifiuti. Però nel suo assetto è visibilissima, come abbiamo visto, una prorompente vis polemica. In fondo quell’andamento incalzante prodotto dalla punteggiatura (che ricorda un po’ l’invenzione di Céline, con il punto fermo al posto dei tre puntini), quel ritmo senza requie non indica semplicemente l’intenzione di smaltire: indica anche, con tutta evidenza l’intenzione di depurare. Mimare il consumo per fare il contrario, per ridare al linguaggio vitalità ed energia, recuperando le cariche attive.
Nella prima parte del libro è compresa anche la serie di tavole verbovisive, Polluzioni. Poi c’è la seconda parte, intitolata Discarica fluente e altre fesserie, che comprende il testo che dà il titolo all’intero volume e che è un po’ l’urtext (risale al 1997) della tematica affrontata. Qui troviamo chiavi diverse, sparsi recuperi di metrica (endecasillabo, ottonario), chiavi comiche e anche strappi e lacune del materiale verbale, propri in generale della poesia di Fontana.
Aggiungo ancora che il libro è circondato dagli interventi critici molto interessanti di Giorgio Patrizi e Marcello Sessa ed è concluso da una nota dell’editore che chiarisce tutti i termini cronologici delle edizioni. Insomma, un felicissimo ritorno del quale si spera si farà dibattito.
Avevo appena finito di stendere questa recensione che mi è giunto un altro volume dell’autore che raccoglie i testi per musica (titolo: Controcanti). Prometto di occuparmene con la dovuta attenzione più avanti…
18/03/2024