Tentativo di capire “Oggettistica”

È difficile orientarsi nella poesia odierna. Oggi i poeti (ma la parola “poeta” mi produce orticaria: meglio dire “gli autori di poesia”) sembrano votati alla nobile “arte di arrangiarsi”. Voglio scrivere una poesia, come devo fare? Barcamenandosi di qua e di là tra lirica e antilirica, escono prove con assai diversi gradi di dignità artistica, ma tutte segnate da una certa casualità. Del resto, le tendenze riconoscibili vengono evitate accuratamente come la peste. Eppure, volenti o nolenti una tendenza implicita c’è sempre; e il compito del critico è proprio di scovarla.
Mi cimenterò su Oggettistica, il nuovo libro di Marco Giovenale (Tic edizioni). Con qualche speranza in più del solito, dato che Giovenale ha promosso negli ultimi tempi il dibattito sulla “ricerca” letteraria, seguito anche dal mio blog e quindi, se non una tendenza, almeno un’intenzione di differenziarsi dovrebbe averla. Tuttavia, un po’ per un’etica che esclude l’“asseverativo”, un po’ per la considerazione che i procedimenti eclatanti delle avanguardie hanno perduto di impulso, rimane qualche difficoltà nell’individuare le tracce. Riassumo nell’interrogativo: come è possibile un’alternativa con mezzi, per così dire, normali?

Partiamo da qui: nella nota finale l’autore si smarca decisamente dal genere. «Oggettistica – scrive – non è un libro di poesia». E sappiamo che ha lavorato in precedenza sulla Prosa in prosa. Si pone quindi a metà strada e questo vale, intanto, a distanziarsi da qualsiasi sacralità, da un lato, dall’altro da qualsiasi memorialistica narrativa. Della poesia sussiste la tecnica della frammentarietà e il libro, infatti, si compone di pezzi brevi e brevissimi. Sono i pezzi di un mondo dissolto? Sì, ma con un senso in più: trattandosi di “oggettistica” rappresentano anche l’isolamento e la singolarità degli oggetti che ci circondano, che animano il nostro desiderio e riempiono la nostra precaria identità. E non bastano mai.
L’invasione degli oggetti, il prodotto, la merce: l’approccio usuale a questi temi è quello della deprecazione di stampo umanista, del lamento della perdita di vita e di anima dei tempi presenti. Giovenale invece decide di passare da dentro, cioè dalla parte del soggetto reificato. Ciò causa innanzitutto la mimesi di un linguaggio elementare, impoverito. Un linguaggio che può anche non seguire la corretta grammatica («Il quel corpo perde frequenza») e patisce magari incoerenza tra i suoi segmenti («aiuta gli animali / fa i canguri / riesce a portare dall’altra parte senza eliminare»); ma suscitando una spiccata esitazione: sono le patologie verbali di un mondo dominato dagli oggetti, oppure i residui sperimentali di spezzatura e mescolanza creativa, l’incongruo di marca surrealista? Esitazione a guardar bene decisiva: allo stesso modo, pezzo per pezzo, ci si presenta il panorama roseo della rassicurazione, fatta di controllo sempre più capillare («queste cose bisognerebbe entrarle nel cervello», proprio nel brano iniziale), di protezione dai rischi del contatto sociale (magistrale Fidarsi: «Mi fido delle persone, sbaglio, non dovrei… Ma mi fido delle etichette»), di acquiescenza alla estinzione della natura, trasformata in spettacolo («Il mare è tutto scenico», ecc.). E però il contenimento ha bisogno della violenza: nel benessere, per così dire, oggettivato si insinuano i segnali inquietanti della guerra, militari armati, gli «enormi massacri», la violenza perfino nei minimi gesti. Tra i possibili esempi di questo décalage, vediamo qui:

Ci sono queste cose in città, segno di civiltà. Tutte le bombe lasciano buche. Il discorso bombardato ha lasciato una buca. Educatamente un vuoto.

La bomba esplode nel discorso, è vero, ma questo è solo in apparenza un attutimento…
La scrittura di Giovenale sembra in vari punti volersi attenere all’abc: si tratterà di istruzioni («Una volta perimetrato l’orto», ecc.), di definizioni (Definizioni: «La prima parte del giorno è anche nota come mattina»…), di descrizioni (per esempio quella di Parigi); tutte modalità che hanno qualcosa dell’oggettivo e che pertanto, quasi che si vedessero le cose per la prima volta, finiscono per avere un esito straniante.
Ma soprattutto, insieme al soggetto impersonale che agisce fin dall’inizio (con la terza plurale del primo brano) è il linguaggio reificato a diventare protagonista. Vedi i brani che raccolgono, quasi repertorio flaubertiano, le idées reçues, i luoghi comuni, le frasi fatte. Si tratta di brani per l’appunto elencativi, che colpiscono per due ordini di ragioni: il primo è che contengono tutto e il suo contrario, centrando il funzionamento a confusione dell’ideologia odierna; il secondo è che concernono in special modo la stessa attività letteraria del testo che le presenta e fungono allora come una sorta di autocritica. In questi casi, il lavoro sul frammento deve necessariamente moltiplicare le sue tessere (tendenzialmente all’infinito), e però qui non se ne può citare che una breve porzione, ad esempio dal capitoletto Romanzo:

  quel romanzo non mi è piaciuto quell’altro sì
  c’è un romanzo in questa sala
  c’è un romanzo in questa classe
  presto datemi un romanzo
  si è spento il romanzo
  è come andare dal meccanico quando si rompe un romanzo bisogna aggiustarlo il romanzo
  il romanzo aperto ventilato
  è un romanzo sperimentale
  un romanzo che non vorrei sperimentare
  ma tu quanti romanzi hai letto
  ieri non riuscivo a dormire per colpa di quel romanzo
  da quel romanzo è stato tratto un horror veramente terribile
  è un romanzo di serie b
  è un romanzo di prima classe
  mancano romanzi nella nostra società
  non si parla che di romanzi

Significativa è anche la sequenza sugli intellettuali, organizzata secondo l’iniziale, dall’A alla Z, per più di dieci pagine. Ma in fondo per tutto il testo circolano imperativi contraddittorii, indice della sostanziale mancanza di coerenza del mercato.
Ora, a un certo punto il testo dichiara:

Si tratta di frasi. Faccio delle frasi. In letteratura spesso non ci sono frasi ma idee. Io non ho idee.

Per cui la coerenza starebbe appunto in questa assenza di senso, di progetto e di tendenziosità. Solo che questa prima persona, questo soggetto, non appartiene all’autore del testo, il quale la sua idea ce la deve avere ben avuta per costruirlo così. Per costruire precisamente un soggetto oggettivato, messo a far parte dell’oggettistica. Che, poi, il termine “oggettistica” non indica soltanto la cosa in vendita, ma anche una certa sofisticazione stilistica. Una scelta dunque a più facce, che da un lato smonta il narcisismo esasperante della poesia oggi diffusa (vedi Il microfono implicito che chiude il libro), dall’altro compie un gesto di ostentazione (dentro e fuori allo stesso momento) della insensatezza in cui siamo immersi.

18/06/2024

2 pensieri riguardo “Tentativo di capire “Oggettistica””

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