I seminari della LUNA: “Gli anni” di Annie Ernoux

È molto in voga l’autobiografia e l’autobiografismo pure, dato che la letteratura oggi è improntata all’empatia e ciò che una volta era imputato a curiosità morbosa o “indiscrezione” del lettore suona attualmente come virtù partecipativa – a detrimento, come si intuisce, dell’immaginazione e dell’invenzione. E, per giunta, viene a deprimersi la differenza tra scrittura testimoniale (tenuta all’oggettività storica) e scrittura finzionale (la cui oggettività è prettamente allegorica).
I seminari di “Critica della narrativa” non potevano evitare di fare i conti con un testo recente eletto a rappresentante del genere autobiografico e la scelta è caduta su Gli anni di Annie Ernaux (Les années, 2008; in traduzione italiana, 2015). Un testo che si situa chiaramente nell’autobiografia, ma che presenta alcuni procedimenti inusuali, in quanto se da un lato non nasconde mai la coincidenza del personaggio principale con l’autrice,  dall’altro lato, però, prende le distanze con uno stile particolare che predilige l’impersonale (“on” nell’originale francese). Una scelta piuttosto originale e, si potrebbe dire, sperimentale.
Per seguire il seminario si può accedere da questo link:

Nel corso del seminario è stata approfondita la struttura del libro e la particolarità della scrittura della Ernaux, complessa e distinta dagli standard. Inoltre si è parlato della frammentarietà del suo procedere, della tecnica dell’elenco, della “oggettificazione” che avanza man mano con l’avanzare, nel corso degli anni, della società dei consumi. La storia personale – anche grazie all’“on” narrante – viene costantemente immersa nella storia collettiva. Nei termini di Lejeune e del suo Patto autobiografico, il testo della Ernaux (autobiografia o romanzo autobiografico che dir si voglia) ottempera al “patto referenziale”, ma forse ancor di più al “patto fantasmatico” della ricerca dell’essenza propria, seguendo i percorsi capricciosi di una memoria che dispettosamente mischia gli eventi capitali della Storia con le minutaglie degli slogan, delle barzellette, delle futilità quotidiane.
Il punto nevralgico della discussione è stato se gli elementi sperimentali (che rimandano a una certa tradizione del romanzo francese del secondo Novecento)  – malgrado il loro effettivo interesse – non siano altro che un modo per nobilitare il genere autobiografico e per superare il senso di colpa di aderire a un tipo di operazione molto spesso legata alle esigenze identitarie piuttosto ingenue dell’esistere raccontandosi. La «narrazione scivolosa» (récit glissant, lo chiama l’autrice) finisce in un elenco di cose da “salvare” che a pensarci bene in fondo si adegua all’intenzione corriva di molto memorialismo.

22/05/2024

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